Nell’Archivio di Terenzio Grandi – depositato
presso il Museo nazionale del Risorgimento di Torino – sono
conservate numerose lettere a lui inviate dall’amico repubblicano
pugliese Piero Delfino Pesce. Nello stesso archivio sono presenti
anche alcune lettere di Grandi dirette a Pesce: non si tratta di
minute ma di copie prodotte con l’impiego del copialettere.
Il rapporto epistolare – e, insieme, amicale – ebbe inizio
nel 1911, quando Pesce accettò l’offerta di collaborare
a «La Ragione della domenica», la rivista torinese diretta
dall’operaio tipografo Terenzio Grandi che si presentava come
una sorta di supplemento al quotidiano repubblicano «La Ragione» che
veniva stampato a Roma.
Nondimeno il ventisettenne operaio tipografo Terenzio Grandi, sulle
ali del suo giovanile entusiasmo, si era impegnato in un’impresa
che andava al di là delle sue possibilità economiche:
ben presto cominciarono a mancargli i fondi e senza arrivare ad una
vera e propria chiusura del periodico decise di sospendere le pubblicazioni
del suo giornale e di fonderlo con quello che Pesce si accingeva
a varare, omonimo alla casa editrice Humanitas, che egli aveva già fondato
nel corso del 1911.
Il contributo dato dai collaboratori torinesi a «Humanitas» fu,
nei primi anni di vita della rivista, oltremodo rilevante. I due
operai tipografi – Terenzio Grandi e Mario Gioda – erano
coltissimi. L’anarchico sindacalista Maurizio Garino (1892-1977),
in riferimento ai protagonisti del dibattito politico-culturale nella
capitale subalpina negli anni precedenti allo scoppio della Grande
guerra, così li ricorda in un’intervista del 1976: «E’ ancora
vivo Terenzio Grandi, un mazziniano … Era amico di Gioda … Lui
ha seguito i mazziniani torinesi, che in quel tempo avevano un circolo
in Borgo San Paolo. Erano un nucleo che ha vissuto quel periodo in
pieno perché erano tipografi, lavoravano sul piano sindacale
e politico (…). Allora c’era quel tipo di operaio lì,
che dopo dieci ore di lavoro aveva ancora la forza di venire al Circolo
a discutere di Marx, di Bakunin, di Stirner».
A differenza delle lettere di Pesce dirette ad Arnaldo Cervesato – le
quali avevano un carattere prevalentemente redazionale – le
missive inerenti al carteggio fra Pesce e Grandi consentono al lettore,
invece, di individuare il filo che documenta la loro collaborazione
ideale e politica e, insieme, le loro divergenze politiche. Il tutto,
inserito in un contesto di amicizia fraterna che si mantiene intatta
fino alla morte di Pesce.
Dalle lettere si evince la tenacia con cui Pesce persegue i suoi
obiettivi: non nasconde a volte il suo disappunto per lo scarso contributo
di articoli da parte dei collaboratori torinesi! Col passare del
tempo la loro amicizia si rafforza sempre di più specie dopo
che si sono conosciuti di persona in seguito a un viaggio di Pesce
a Torino. Il direttore di «Humanitas» propone a Grandi
di trasferirsi a Bari, ma quest’ultimo rifiuta per motivi familiari:
non poteva spostarsi da Torino poiché aveva messo su da poco
tempo una tipografia! Da parte sua Grandi – nelle missive ricavate
dal copialettere a partire dal 1914 – non manca di elogiare
il lavoro dell’amico, ma non lesina neppure le critiche, quando
gli appaiono necessarie.
Lettera n. 1 – Pesce a Grandi
San Materno, 9 dicembre 1911
Carissimo Grandi.
Finisco di cenare, in campagna, a venti chilometri da Bari, dove
tornerò domattina e ho avviata qualche ora fa la spedizione
del secondo numero. Eccomi a te. Domani, nel pomeriggio, che conto
tornare a passare qui, scriverò alla Amministrazione della “Ragione
della domenica” in un modo che penso dovrà essere di
vostra soddisfazione senza danneggiare me. Credo che anche tu sarai
contento. Adesso scrivo a te, amico Grandi, a te come persona. Grazie
del molto che hai fatto e del moltissimo che dovrai fare. «Humanitas» guadagna
su «Ragione della domenica», per minore teorismo e per
maggiore praticità; perde per assai minore snellezza: la quale
però a nessun costo cercherei di ottenere pubblicando le numerose
poesie già in cartella e quelle che continueranno a piovere.
Occorre prosa agile, varia, anche – anzi, forse, in primo luogo – nelle
firme degli autori; occorre che voi vi uniate veramente a noi. Così soltanto
faremo cammino lungo e proficuo: che di una cosa posso io bene garantirvi,
qualsiasi siano le sorti finanziarie della impresa – nel primo
anno certo acerbissima – la vita della gazzetta, che fa parte,
come appare anche dalla testata di questo foglio, di più ampio
disegno. Assicurato questo punto essenziale, la durata dell’opera,
a dispetto delle prevedibili disillusioni, anzi del preveduto insuccesso
economico, comprendi quali frutti si possono trarre da una collaborazione
viva tra i due punti estremi della penisola, che finirebbe, naturalmente,
per svegliare e incuorare i dormienti e gli scettici disseminati
nelle altre regioni. Io scriverò immediatamente a tutti coloro
mi hai premurosamente indicato; ma, innanzi che qualcuno incominci
a rispondere all’appello, conviene batterne della strada! Credo
fermamente che la gazzetta debba soprattutto essere sempre al corrente
dei movimenti politici e sociali, e vedrai che a ciò saranno
indirizzati tutti i miei sforzi. Quando non potete mandarmi l’articolo
mandatemi notizie consigli; e saranno sempre più bene graditi.
Hai costà nessuno che possa farmi la rivista delle riviste
francesi? Una volta al mese, che avrei poi la inglese, la tedesca
e la italiana. Da una a due colonne, ma fatta bene. Mandami la traduzione
dell’articolo spagnuolo: pubblicherò con piacere, si
domanda? Ho già provveduto con un altro sul movimento cinese.
Mandami tutto quello che ti giunge, anche se, non pubblicando, si
faccia obbligo di restituire i manoscritti. Così per i versi:
poi che ne inserirò pochissimi, ho bene il diritto di scegliere,
e non si sceglie efficacemente se non tra molti soggetti. Ti abbraccio,
in metafora, ma con tutto il cuore.
P. D. Pesce
Lettera n. 2 – Grandi a Pesce
Torino, 30 marzo 1917
Carissimo Piero,
sento il bisogno di congratularmi vivamente con te pel tuo meraviglioso
articolo su Mazzini. Sai che io sono parco di lodi e di aggettivazione
superlativa: tuttavia debbo dire che da parecchi anni – non
so quanti – io non ho letto articolo su Mazzini più sobrio,
vero, profondo del tuo. L’impressione mia saliente
e precedente si attacca a uno studio del Mormina1, che ricordo in
modo molto vago. Tutto il resto, pur buono sotto certi aspetti, assomiglia
troppo alla ... esegesi biblica ortodossa, o risente della incomprensione
più grossolana. Bravo! Per i tuoi articoli, per un solo studio come
quest’ultimo tuo, perdono ad Humanitas ... gli articoli futuristicamente
bizantineggianti degli – ahimè – novellini. Ma
la tua cerchia di collaboratori è veramente eclettica. Ho
veduto Uomini e cose. Mi puoi scrivere a lungo su
Nazariantz? Saluti.
T. G.
1) Qui Grandi si riferisce probabilmente allo scrittore
siciliano Francesco Mormina Penna, il quale si era occupato nei suoi
scritti del rapporto fra Mazzini e il pensiero socialista.
Lettera n.
3 – Grandi a Pesce
Torino, 28 aprile 1919
Carissimo Pesce,
non ho potuto rispondere pel 18 alla lettera dell’11. Mi è assolutamente
impossibile assentarmi da Torino anche per poco, per molte ragioni,
ma specialmente per l’eccezionale periodo di impegni professionali
che sto attraversando, perché proprio in questi giorni – tra
difficoltà moltissime – sto iniziando una mia azienda
tipografica, che ti potrà anche personalmente interessare,
e di cui saprai tra breve. Ma, pur rincrescente di dover addurre
queste inderogabili giustificazioni alla assenza mia da un diretto lavoro
giovevole al benessere dei più, non debbo tacere che,
da quanto posso rilevare dall’nvito fattomi, gli intenti che
voi vi proponete trovano la piena rispondenza della mia mente e del
mio animo.
Riconosco lo scopo vostro doveroso, meritorio e tento di [illeg.]
nella strettissima cerchia delle mie possibilità intuendolo
dall’[illeg.] dei fatti, della conseguenza dei principi affermati.
E faccio i migliori auguri per quelli che potranno incontrarsi per
rafforzare il comune lavoro, e per esercitare eventualmente quelle
iniziative a me e in questo ambiente non possibili. Con particolari
saluti – immediati o mediati! – a te e all’on.
Comandini.
Tuo, fraternamente
Grandi
Lettera n. 4 – Grandi a Pesce
Torino, 15 settembre 1920
Carissimo Piero,
tu mi hai dato – nella tua letterina – del vigliacco,
ed io te ne accuso ricevuta; di più, ti rendo onore, reintegrandoti
nella mia stima, per cagion di confronto. Mi spiego. Un tempo io
mi accendevo di sacro, nonché stizzoso sdegno contro di te,
perché non rispondevi, o meglio, tardavi enormemente nel rispondere
a mie lettere; ora … io ti assolvo, perché altrettanto
faccio con i miei corrispondenti. Bada: da tre buoni mesi ho
qui sul tavolo una lettera del Nazariantz e da un giorno all’altro,
da un’ora all’altra, ancora non ho risposto. Scusami
davanti a lui: gli scriverò al più presto! Che cosa
io faccio? Sono qui immerso nel lavoro e nelle preoccupazioni per
la conduzione della stamperia (credo di averti già informato
sui salti che ho fatto) e sempre il lavoro più imperativo
ed urgente mi soggioga. A casa, poi, con la mia sposina ch’è assai
colta ed intelligente, tento di leggere qualcosa, o si discute con
gli amici, sempre graditi (quei pochi che ci sono).
Mario Gioda lo vedo ben di rado. Direi che mi sfugge, dacché io
non lo seguo più, cioè, perché ha notato la
mia non approvazione nella sua politica. È finito – io
dico così – nella segreteria del Fascio di combattimento
Torinese; e ciò per l’affetto che avevo ed ho per Mario,
mi spiace assai.
Alla «Gazzetta del Popolo» sulla legge del pane, capisco
che avrei – possibilmente – quasi dovuto scrivere io,
ma ti assicuro che troppe volte, oltre che il tempo, mi manca la capacità di
scrivere alcunché. Ho la digestione difficile, e – in
verità – sono ben pochi i momenti della giornata nei
quali io sappia buttar giù qualche riga [illeg.]. Ed ho in
estremo fastidio i rumori: delle macchine, dei tram ecc.: eppure
mio malgrado ci vivo in mezzo ogni giorno. Ah come sospiro la magna
solitudine – sia pure, anzi meglio – in due!
Di «Humanitas» leggo assai volentieri i Rilievi.
Del rimanente, poco o nulla. Prendo in uggia i giornali e le critiche
letterarie sopratutto; amo il libro e tento giudicarlo. Ma il mio è un … tentativo
continuo, semplicemente.
Spiacemi di non aver potuto far sì che «Humanitas» avesse
qualcosa di più degno su Ergisto Bezzi1 … ma come si
fa? Qui non ho un solo amico a portata di mano che sappia scrivere
due righe in croce, e la mia attività è troppo razionata – forzatamente – e
rivolta a cose tecniche, pratiche, immediate … Purtroppo.
Del P.R.I. e di altre cose non ti dico perché ormai mi sfugge
l’ora. Buone cose a te, ottimo.
Terenzio
1) Ergisto Bezzi ( Cusiano di Ossana, 6 gennaio 1835 - Torino,
3 agosto 1920) è stato
un patriota nonché un
personaggio di primo piano del Risorgimento italiano. Fu intermediario
fra il Mazzini e Garibaldi e
partecipò come volontario nell’impresa dei Mille. Fu
un repubblicano intransigente: rifiutò, infatti, sia la croce
di cavaliere dei Savoia sia il mandato di Ravenna che, nel 1890,
lo aveva eletto deputato.
Lettera n. 5 – Pesce a Grandi
Bari, 2 agosto 1921
Carissimo.
La tua buona cartolina mi invita a chiederti un favore. Pubblicare «Humanitas» è eroismo
non da trincea ma da calvario; però sul calvario si muore,
e io non voglio morire, checché mi costi il vivere. Occorre
io aumenti i miei proventi economici per sussidiare i bisogni della
mia amante, che, pure giovando a molti, io solo pago. Fare l’avvocato,
ohibò! Ma qualsiasi abilità della mia penna pur dovrebbe
darmi modo, oramai, di ricavarne qualche profitto. Tu che vivi nel
mondo del torchio e del piombo, non troveresti tu modo di piazzarmi
qualche articolo o, magari qualche novella, presso qualche giornale
di costà, che paghi. Che paghi poco, sia pure, dapprincipio,
ma che non mi tratti da novellino in cerca di gloria e di notorietà.
Intesi! In attesa! Saluti molti.
Piero Delfino
Lettera n. 6 – Grandi a Pesce
Torino, 25 settembre 1922
Carissimo Piero Delfino Pesce,
il balordo sintomatico tuo arresto non mi aveva affatto lasciato
indifferente. Mi scuso ora, per non averti scritto subito. La mia
solidarietà è per te incondizionata. La stima che ti
ho sempre dedicato si converte ora in ammirazione. Mando alla tua
Gazzetta £. 20. Fammi spedire subito, più copie
che puoi per tale somma, dell’ultimo numero, col tuo atto di
ringraziamento. Le farò spedire a notabilità politiche
locali, come ... atto di presentazione. Ti si manderà a chiedere
libri. Prego concedere fiducia all’U.S.R [Ufficio Stampa Repubblicana]
Abbracci
Terenzio
Lettera n. 7 – Pesce a Grandi
Mola, 1° del 1927, che guidi Iddio!
Carissimo.
Interpreterò, quando avrò finito, l’indirizzo
che hai coperto con gli ultimi righi del tuo scritto molto graditissimo:
non ho provocato prima i tuoi caratteri non essendo sicuro che una
mia lettera ti sarebbe pervenuta. Che ne è di me? Nulla. Mi
sono chiuso nel mio guscio. Dieci tra invasioni domiciliari e perquisizioni;
esonerato dall’insegnamento all’Istituto Tecnico per
non essere intervenuto alla commemorazione della marcia su Roma;
stimato, dicono essi, anche dagli avversarii, ma tenuto in quarantena
e sotto controllo. Sono tornato a fare l’agricoltore, il pittore,
il musicista; di nuovo faccio anche un po’ l’avvocato.
Assisto e noto. La penna si è incantata ma non mi si è spezzata
tra le dita; né si è piegata. E tu? Mi chiedi mie notizie
e tu perché non me ne dai di tue? Molte cose di te io le indovino,
se sei ancora nell’ambiente di un tempo. La gente di corta
vista, la maggioranza grandissima, guarda a Roma; io invece guardo
a Fiesole, e so che a Roma impera assolutisticamente l’Abate
Tacchi-Vinardi1. (sic). Questo il filo per intendere molte cose.
Saluti e augurii da fratello a fratello. Mandami un segno di ricezione
della presente.
Piero
1) Qui il discorso è volutamente criptico: forse Pesce
allude all’abate Tacchi Venturi, il quale ebbe un ruolo rilevante
nelle trattative che portarono alla ricomposizione del conflitto
fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Al momento, la mia ricerca
sull’Abate Tacchi-Vinardi non ha sortito alcun risultato.
Lettera n. 8 – Pesce a Grandi
Mola, 19 ottobre 1933
Carissimo Terenzio.
Ti ringrazio non tanto del dono dell’ultimo tuo quaderno, interessantissimo,
quanto della regalia assai più considerevole del tuo costante
ricordo, che contraccambio, oh! questo sì, perfettamente alla
pari. Vorrei potere contraccambiare anche l’altro con qualche
cosa di mio, ma, muto da moltissimo tempo, se mi accorgo ora di una
certa ripresa di attività produttiva, me ne preoccupo come
tardo bagliore di ineluttabile senilità. Vorrei poterti scrivere
a lungo, e forse mi leggeresti con piacere; ma la sorte mi lesina
il tempo, tutto preso dalle soffocanti miserie della vita pratica.
Nulla di elettivo o di altrimenti voluto, si intende, che assai di
buon grado opterei per una vita di lavoro incessante ma sereno. Mi
scopro spesso a dover dichiarare, contro i miei principii teorici,
che la vita è un assurdo. Ier l’altro ti ho ricordato
con l’ottimo prof. R. Foa1 a Bari per il raduno degli scienziati.
Sempre ti ricordo con Hrand, anima buona di fanciullo invecchiato.
Tuo
Piero
1) La mia ricerca inerente alla figura
del prof. R.
Foa, al momento, non ha sortito alcun risultato.
Lettera n. 9 – Grandi ai figli di Pesce
Torino, 13 dicembre 1939
Ai figli di Piero Delfino Pesce,
la «Gazzetta del Popolo» mi dà la notizia
tristissima.
Sono, con Voi, addoloratissimo per l’improvvisa scomparsa del
padre vostro mio caro amico. L’intelligenza sua, il carattere,
la multiforme attività ne facevano una rara tempra d’uomo
italiano completo. Era tra le persone che più ritenevo meritevoli
della maggior stima ed ammirazione. Chi lo conobbe serberà sempre
di lui alto lusinghiero ricordo. La sua vita sarà di specchio
alla vostra. Coraggio! Vi abbraccio.
Terenzio Grandi
Lettera n. 10 – I figli di
Pesce a Grandi
Mola, 20 dicembre 1939
Stimatissimo signor Terenzio Grandi,
la sua lettera ci ha ripieno di commozione il cuore, straziato dalla
perdita di colui che avemmo la fortuna di amare e di stimare.
Ella è sempre stata per noi, che la conoscevamo soltanto attraverso
le parole del padre nostro, un uomo degno di alta stima; d’ora
in avanti sarà per noi un amico carissimo, che ha saputo trovare
le parole per parlare al nostro cuore addolorato.
La nostra vita sarà guidata dall’intento di non smentire
le belle qualità di cui ella fa tanto onore a colui che piangiamo
sì dolorosamente; e ci sarà di incitamento e ci conforterà il
pensiero che uomini della sua tempra vivano ancor oggi e ci fanno
il sommo bene di ricordarsi di noi nel loro consiglio.
La nostra stima! Il nostro affetto!
I figli di Piero Delfino Pesce
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